Parlare di pace, battersi per essa, è andare controcorrente in tempi di guerra nei quali torna ad aleggiare lo spettro di un conflitto nucleare. Ma è proprio quando il gioco si fa duro che i duri cominciano a giocare. E quanto a determinazione, coraggio e convinzione nei propri ideali, i pacifisti sono dei veri “duri”.
Azione e dibattito: la forza del movimento.
Una lettera aperta al Segretario Generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres e ad altri esponenti delle strutture Onu (tra cui la Alto Rappresentante per il Disarmo Izumi Nakamitsu, l’Alto Rappresentante per i Rifugiati Filippo Grandi, il neo Alto Rappresentante per i Diritti Umani Volker Türk). E’ questo il modo con cui le oltre 400 organizzazioni della società facenti parte della coalizione “Europe for Peace” (promossa da Rete Italiana Pace e Disarmo, Sbilanciamoci, Stop the War Now, AOI Cooperazione e Solidarietà internazionale, Anpi tra gli altri) hanno deciso di celebrare la Giornata Internazionale per la Pace voluta dall’Assemblea generale per rafforzare gli ideali di pace chiedendo che vengano osservate 24 ore di nonviolenza e di “cessate il fuoco”.
Nei prossimi giorni – rimarca in una nota stampa Ripd – la missiva verrà consegnata anche in formato cartaceo presso la sede di Roma dell’Alto Commissariato per i Diritti Umani Unhcr.
Il conflitto in Ucraina, così come tutte le altre guerre drammatiche e distruttive nel mondo, rende sempre più necessario rafforzare i percorsi multilaterali di Pace. Per tale motivo, nella Lettera inviata a Guterres, si sottolinea come: “siamo sempre stati convinti (e oggi lo siamo ancora di più) che l’unica possibilità che abbiamo per salvare il pianeta e per eliminare le guerre, le armi nucleari, le povertà, il razzismo, le ingiustizie e il cambiamento climatico stia nella leale collaborazione tra tutti i popoli come previsto dal progetto delle Nazioni Unite. Solo il multilateralismo può portare una vera democrazia globale, a partire dalla volontà di pace della maggioranza delle comunità e dei popoli”.
Abbiamo bisogno di un governo mondiale “che sia realmente democratico ed universale finalmente in grado di prevenire, gestire e risolvere per le vie del diritto internazionale i conflitti tra stati e tra individui. Questa lacuna porta con sé i drammi delle guerre, delle dittature, delle migrazioni forzate, della violenza sulle donne, della distruzione del pianeta che coinvolgono, con tempi e modi diversi, tutti quanti. L’invasione dell’Ucraina è l’ultimo esempio, in ordine di tempo, del disordine che governa il pianeta, con la particolarità che questa guerra potrebbe trasformarsi in un conflitto nucleare. Per difendere un sistema indifendibile il mondo intero si sente minacciato e si riarma”.
L’invio di queste parole al Segretario generale Onu Antonio Guterres, sulla scia delle proposte contenute negli Obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030 e nell’Agenda per il Disarmo, vuole quindi essere un segno di sostegno e di impegno a favore di iniziative collettive per la Pace.
“Con queste preoccupazioni Le scriviamo – e faremo di tutto affinché siano in tanti a scriverLe, per ribadire la necessità e l’urgenza del ruolo attivo delle Nazioni Unite al fine di riaffermare il primato del diritto e dei valori universali contro la logica delle guerre, del riarmo e dei blocchi militari” sono le proposte e gli impegni di ‘Europe for Peace’. La coalizione ha invitato Guterres a chiedere all’Assemblea Onu di “convocare una conferenza internazionale per la pace, il disarmo e la cooperazione” rinnovando la proposta di un impegno per la riduzione del 2% delle spese militari globali di almeno per 5 anni,istituendo con il “dividendo di pace” un fondo globale gestito dall’Onu da investire in programmi di riconversione industriale e tecnologica sostenibili e di economia disarmata, di sicurezza sanitaria contro le pandemie, di protezione dei diritti umani, di formazione per la difesa civile e nonviolenta.
LaRete Italiana Pace e Disarmo ha promosso e condivide pienamente la Lettera di ‘Europe for Peace’ ed invita le proprie organizzazioni aderenti a sottoscriverlaattivandosi anche a livello locale per raccogliere firme e adesioni di Sindaci ed amministratori locali.
In particolare la Ripd ritiene necessario rafforzare i percorsi per un disarmo climatico sempre più urgente e necessario, e in tal senso esplicita la propria adesione allo Sciopero Globale per il Clima lanciato per il 23 settembre da Fridays for Future e dai movimenti ambientali giovanili e all’iniziativa ‘Puliamo il mondo’ promossa da Legambienteper il primo weekend di ottobre.Solo un percorso che affronti seriamente, e in maniera democratica e aperta, i temi del cambiamento climatico e della protezione dell’ambientepotrà garantire le condizioni di base affinché sia possibile promuovere e costruire una Pace positiva in tutto il mondo”.
Dibattito come ricchezza, il confronto come crescita condivisa. In questo senso vanno due scritti di grande spessore che Globalist ripropone. Il primo, su Vita, è di Angelo Moretti. Scrive Moretti: “Non è un periodo facile per il pacifismo europeo. La parola d’ordine “disarmo” non sembra reggere l’onda d’urto dovuta all’aggressione aperta di una potenza nucleare ad un popolo sovrano che le è limitrofo.
Di fronte ad una pioggia di missili diretta su una città affollata come Kyiv, o su stazioni ferroviarie e centri commerciali, scoprire che è stata una contraerea tedesca ad aver ridotto l’impatto di morte, rendendo innocui dieci missili su dodici come a Kremenchuk, non può non far pensare.
Un mondo armato è certamente un mondo più pericoloso, ma un popolo disarmato contro un aggressore che continua la sua avanzata è certamente più pericoloso oggi e in prospettiva.
Affermare semplicemente che sia urgente “Fermare le armi in Ucraina!”, come molti pacifisti in Europa chiedono a gran voce, prima che un esercito di nonviolenti abbia circondato quel paese di un cordone umano e diplomatico che lo protegga e lo sorregga, può diventare una crudele beffa per il popolo ucraino. Come ha scritto il professor Stefano Zamagni su Vita, ““Il pacifismo di resa, quello che per conseguire la pace è disposto a rinunciare alla libertà e ad accettare il sopruso, e che non considera che una pace senza libertà è un cimitero, non è un’opzione plausibile e tanto meno moralmente accettabile”.
Soprattutto per il dato che le armi in Ucraina partono e arrivano dentro il territorio, mentre molti missili russi partono dal Mar Nero e piovono direttamente sulle teste degli ucraini, sventrando condomini, ospedali e fabbriche.
Altrimenti è come dire che la strage di Srebrenica dell’11 luglio di quasi trent’anni fa non ci ha insegnato nulla. Ottomila uomini e ragazzi furono trucidati per la loro appartenenza ad un’etnia islamica presa in odio dai militari della Vrs guidati dal generale Mladic, sotto gli occhi dell’Onu che però non intervenne, pur sapendo cosa stesse accadendo in quei boschi: paradossalmente si compì un genocidio proprio perché la zona era stata dichiarata “una zona protetta demilitarizzata” da una risoluzione Onu.
Nonostante l’avanzata delle truppe di Mladic verso la zona protetta fosse facilmente visibile, nessuno intervenne per fermarla per un problema di regole di ingaggio. Quando la Vrs entrò in Srebrenica prese in disparte tutti gli uomini dai dodici ai settantasette anni, i militari rassicurarono le mogli e le mamme che avrebbero solo interrogato quegli uomini, ed invece vennero tutti uccisi e sepolti in fosse comuni. I caschi blu olandesi erano di stanza lì e vennero allarmati dalle donne disperate, ma non intervennero. Né gli aerei Nato che sorvolavano normalmente lo spazio aereo dell’ex Jugoslavia hanno ritenuto di dover intervenire. L’esito fu l’eccidio che sappiamo e di cui ancora ci vergogniamo.
Oggi l’Ucraina è lo scenario di una enorme Srebrenica, chi ancora intende negarlo o ha ragioni ideologiche o di comodo o altro che francamente ci sfugge. Non ci sono “due belligeranti”, c’è un generale Mladic molto più potente e si chiama Putin e c’è una sola colonna di fuoco che va in un’unica direzione, da Mosca verso Kiev, passando per l’Est.
Come ci ha detto il sindaco Klitschko, accogliendo i sessanta pacifisti del Mean nella Sala delle Colonne del suo municipio l’11 luglio scorso “l’aggressore non ha nessun interesse per il popolo ucraino, perché ci uccide, distrugge le nostre fabbriche e le nostre infrastrutture. L’aggressore vuole solo la nostra terra” 𝐎𝐫𝐚 𝐥𝐚 𝐬𝐢 𝐩𝐮𝐨̀ 𝐩𝐞𝐧𝐬𝐚𝐫𝐞 𝐜𝐨𝐦𝐞 𝐬𝐢 𝐯𝐮𝐨𝐥𝐞 𝐬𝐮𝐥 𝐩𝐨𝐩𝐨𝐥𝐨 𝐮𝐜𝐫𝐚𝐢𝐧𝐨 𝐞 𝐬𝐮𝐥𝐥𝐞 𝐨𝐫𝐢𝐠𝐢𝐧𝐢 𝐦𝐨𝐭𝐢𝐯𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐚𝐥𝐢, 𝐢𝐝𝐞𝐨𝐥𝐨𝐠𝐢𝐜𝐡𝐞 𝐨 𝐩𝐫𝐨𝐩𝐚𝐠𝐚𝐧𝐝𝐢𝐬𝐭𝐢𝐜𝐡𝐞 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐬𝐮𝐚 𝐠𝐫𝐚𝐧𝐝𝐞 𝐫𝐞𝐬𝐢𝐬𝐭𝐞𝐧𝐳𝐚, 𝐦𝐚 𝐢𝐥 𝐝𝐚𝐭𝐨 𝐝𝐢 𝐫𝐞𝐚𝐥𝐭𝐚̀ 𝐩𝐞𝐫 𝐢𝐥 𝐩𝐚𝐜𝐢𝐟𝐢𝐬𝐦𝐨 𝐝𝐨𝐯𝐫𝐞𝐛𝐛𝐞 𝐞𝐬𝐬𝐞𝐫𝐞 𝐮𝐧𝐨 𝐞 𝐬𝐨𝐥𝐨 𝐮𝐧𝐨: 𝐯𝐚 𝐟𝐞𝐫𝐦𝐚𝐭𝐚 𝐥’𝐚𝐠𝐠𝐫𝐞𝐬𝐬𝐢𝐨𝐧𝐞.
Come ci ha detto il Nunzio Apostolico Visvaldas Kulbolkas, è importante “non voler interferire nelle decisioni del popolo ucraino e del Governo che li rappresenta su come vogliono difendere il loro Pese, la vita dei propri cittadini in primis i bambini e su come vogliono costruire il loro futuro. Giustamente avete scelto una dimensione diversa, quella della costruzione nonviolenta della pace”.
Il Nunzio ha parlato di tre categorie di persone di fronte alla guerra in Ucraina: chi appoggia e la promuove; chi resta a guardare rifugiandosi nel dire che questa non è l’unica guerra in corso, e chi prova a costruire la pace.
L’idea del superamento della Nato e di una Europa più forte ed indipendente sul suo territorio è assolutamente un’idea legittima e niente affatto peregrina, dovrebbe essere l’auspicio di ogni fervente europeista, ma sappiamo che non è possibile cambiare una squadra di difesa mentre l’attacco avanza, oggi serve prima di tutto arrivare al cessate il fuoco, fermare l’aggressione, poi si dovrà immediatamente discutere delle regole future di tutti i giocatori in campo”.
La forza della non violenza
Mao Valpiana è Presidente del Movimento non violento, membro dell’Esecutivo di Rete Italiana Pace e Disarmo, è anche direttore della rivista Azione non violenta, fondata nel 1964 da Aldo Capitini.
Scrive Valpiana: “La richiesta del ministro ucraino Kuleba “dateci armi, armi, armi”, mi ha ricordato le parole del maresciallo di Francia Trivulzio al Re Luigi XXII: «per vincere una guerra ci vogliono soldi, soldi, soldi». Sì, perché la guerra non la vince chi ha ragione (in questo caso l’Ucraina), ma chi ha più capacità distruttiva (vedremo alla fine, quando fine ci sarà, se l’esercito russo o gli armamenti della Nato). Infatti il Segretario generale Stoltenberg ha detto: «Abbiamo dato sostegno per molti anni formando centinaia di migliaia di forze ucraine e ora gli alleati stanno dando equipaggiamenti per sostenervi nella difesa. È urgente un ulteriore sostegno e oggi affronteremo il bisogno di più sistemi di difesa aerea, armi anticarro, armi leggere e pesanti e altro». Ma al governo ucraino questo non basta ancora e gli ha dato dell’ipocrita: «Chi dice vi do armi difensive ma non offensive è un ipocrita. La differenza tra armi offensive e difensive non dovrebbe avere senso nel mio Paese, perché ogni arma usata in Ucraina dalle forze ucraine contro un aggressore straniero è difensiva per definizione».
In fondo ha ragione, anche l’utilizzo di armi tattiche nucleari, se usate per fermare o rispondere all’aggressore, può essere definito “difensivo”. E così, tolto il velo ipocrita alla distinzione tra armi offensive o difensive, siamo arrivati dritti al punto centrale della questione “à la guerre comme à la guerre”, in una escalation continua, nella guerra giusta, fino alla vittoria contro il nemico infame. È la logica di tutte le guerre, così terribilmente tutte uguali a se stesse, giuste o sbagliate che fossero.
Alla guerra di invasione russa, si poteva rispondere in modo diverso, senza intraprendere una guerra di difesa ucraina? Questo è un punto decisivo della discussione. Al pacifismo senza se e senza ma, ho sempre preferito la nonviolenza con tanti se e tanti ma. Dunque provo a ragionare utilizzando alcuni di questi se e ma.
Il governo di Zelensky chiede all’Europa più armi per difendersi, dicendo sostanzialmente «se noi fermiamo i russi, ci guadagnate anche voi, altrimenti se noi soccombiamo, poi arriveranno anche a casa vostra». Dunque pagateci le armi più micidiali possibile, così combattiamo anche per voi. All’Europa non par vero di garantire profitti alle varie industrie belliche nazionali e far combattere una guerra per procura all’Ucraina. Ma in Ucraina non c’è una sola voce. Se il governo chiede armi, armi, armi, altre voci, come la Croce Rossa ucraina, chiedono “cibo, cibo, cibo” e altre ancora, come i pacifisti di Kiev, chiedono “verità, verità, verità”. Dunque non esiste una sola richiesta bellica, e non è vero che c’è identità totale tra il popolo ucraino e il suo esercito, così come non c’è una sola resistenza armata, ma anche una resistenza civile che non vuole partecipare alla guerra, ma vuole difendersi ugualmente. È possibile e realistica una scelta simile?
La volontà comune ucraina, espressa in queste drammatiche settimane, di non cedere, di non farsi sottomettere, di resistere, di rifiutare l’invasione, ha colpito il mondo intero. L’identità nazionale, l’orgoglio, il sentimento di essere un popolo unito e forte, è forse ciò che più mi ha impressionato. Se questa forza morale fosse stata usata al posto delle armi, cosa sarebbe accaduto? Se all’entrata dei primi carri armati russi in Ucraina, il governo, con i sindacati, avesse dichiarato immediatamente lo sciopero generale e totale di tutti i lavoratori ucraini, se tutta la popolazione ucraina fosse stata invitata a scendere nelle strade e nelle piazze, con la volontà di bloccare quei carri armati, senza collaborare in alcun modo con le truppe di invasione, chiudendo tutti i servizi pubblici, fermando tutti i mezzi di trasporto, bloccando per uno, due, tre, giorni o mesi tutto il paese, sollecitando la solidarietà internazionale, dicendosi indisponibili a fare la guerra, ma determinati fino alla fine a resistere e non riconoscere in alcun modo l’occupazione, come avrebbero reagito i russi? Cosa avrebbe fatto l’esercito invasore? Fino a dove sarebbe riuscito ad avanzare? Un popolo indisponibile, pronto a non collaborare in alcun modo con l’invasore, è invincibile. Nessun tiranno riesce a governare un popolo che rifiuta la servitù volontaria, con la resistenza passiva, la disobbedienza civile, la non collaborazione, il boicottaggio e il sabotaggio continuo. Forse proprio in Ucraina c’erano le condizioni storiche, sociali, politiche migliori per attuare questa forma di resistenza nonviolenta; se vi fosse stata una leadership preparata.
Non è utopia, nella storia è già avvenuto. «Cittadini, lavoratori! Sciopero generale contro l’occupazione, contro la guerra, per la salvezza delle nostre terre, delle nostre case, delle nostre officine», sono le parole del partigiano Sandro Pertini diffuse dalla radio della resistenza italiana; lo stesso Pertini che quando diventò Presidente della Repubblica disse: «Si vuotino gli arsenali, sorgente di morte, si riempiano i granai, sorgente di vita». Se al posto del nazionalista in tuta mimetica Zelensky, il popolo ucraino fosse stato guidato da un nazionalista spirituale come Gandhi, ma altrettanto determinato a salvare il suo popolo, a che punto saremmo oggi? In Ucraina c’è chi ha proposto e tentato questa strada, ci sono gli obiettori di coscienza che resistono senza prendere le armi, ma sono un’infima minoranza, inascoltata, censurata, nascosta. Il governo ucraino ha considerato solo la risposta militare, bellica, di scontro sul campo. Le armi della Nato aumenteranno la potenza di fuoco, a cui la Russia risponderà con nuove stragi e nuovi orrori. Alla fine forse l’Ucraina vincerà, ma a che prezzo? E se perderà? Quali saranno le conseguenze? Accettare di scendere sul terreno dello scontro armato, della guerra, comporta questi rischi, e alla fine si fa la conta dei morti. Resistere civilmente, con la nonviolenza attiva, è ugualmente rischioso, ma alla fine si fa la conta dei salvati”.
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