Una nota di Confindustria si sofferma sul nuovo protocollo condiviso per il contrasto del virus SARS-COV-2/COVID-19 negli ambienti di lavoro. Focus sul rischio biologico generico e sull’uso dei dispositivi di protezione delle vie respiratorie.
Roma, 13 Lug – Lo scorso 30 giugno, le Parti Sociali ed i Ministeri del lavoro, della salute e dello Sviluppo economico, con l’Inail, hanno sottoscritto un nuovo “ Protocollo condiviso di aggiornamento delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus SARS-CoV-2/COVID-19 negli ambienti di lavoro”, che aggiorna e sostituisce il precedente protocollo del 6 aprile 2021.
Oltre a raccontare nel dettaglio le indicazioni e le prescrizioni contenute nel protocollo, cercando anche di mettere in rilievo le differenze con il protocollo del 6 aprile 2021, in precedenti articoli del nostro giornale abbiamo ospitato alcune riflessioni delle parti sociali, con riferimento alla parte sindacale, attraverso il contributo di Cinzia Frascheri, responsabile nazionale CISL SSL.
Oggi vorremmo arricchire queste riflessioni anche con alcuni commenti della parte datoriale attraverso la presentazione di una recente Nota di Confindustria (Confederazione generale dell'industria italiana), la Nota di aggiornamento del 5 luglio 2022, dal titolo “Il nuovo Protocollo condiviso di aggiornamento delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus SARS-COV-2/COVID-19 negli ambienti di lavoro”.
La Nota segnala come con la fine dello stato di emergenza sia venuta meno la prescrizione “secondo la quale le attività produttive possono proseguire solamente adottando e rispettando i Protocolli”: dal 1° aprile 2022 “l’applicazione del Protocollo non è più obbligatoria per legge”. E dunque, in assenza di una disposizione vincolante di legge, anche il nuovo Protocollo condiviso, anche nella sua versione attuale, “mantiene la caratteristica della volontarietà”.
L’articolo di presentazione della Nota si sofferma sui seguenti argomenti:
La Nota, in premessa, sottolinea che è stato confermato il punto essenziale del Protocollo secondo il quale “il virus SARS-CoV-2/ COVID-19 rappresenta un rischio biologico generico, per il quale occorre adottare misure uguali per tutta la popolazione. Il presente protocollo contiene, quindi, misure che seguono la logica della precauzione e seguono e attuano le prescrizioni del legislatore e le indicazioni dell’Autorità sanitaria”.
Si indica che si tratta di una conferma importante “soprattutto alla luce del recente importante intervento della Corte costituzionale” (Corte cost., sent. n. 127/2022) che “ha definito il Covid come ‘un virus respiratorio altamente contagioso, diffuso in modo ubiquo nel mondo, e che può venire contratto da chiunque, quali siano lo stile di vita e le condizioni personali e sociali. Innanzi a tali presupposti, la misura predisposta dal legislatore concerne quindi una vasta ed indeterminata platea di persone’”. Una pronuncia, questa, che si salda alle due precedenti (Corte cost., sentt. nn. 226/1987 e 462/1989) che “avevano escluso che un rischio generico come la pandemia malarica” possa costituire “un rischio specifico assicurato dall’Inail (dal momento che ‘con l'assicurazione contro gli infortuni, il legislatore ha apprestato una tutela differenziata per i rischi professionali, quelli cioè cui i lavoratori sono esposti in ragione dello svolgimento della loro attività produttiva, nel senso che è questa a determinare l'esposizione al rischio di un evento lesivo. Alla specificità di tale tutela corrisponde il requisito della professionalità del rischio, espresso nel concetto di ‘occasione di lavoro’)’”.
Al di là della discussione sul virus SARS-CoV-2 come rischio biologico generico o sulla qualificazione del COVID-19 come infortunio sul lavoro, contenuta nella Nota, veniamo invece ad un punto del Protocollo su cui Confindustria si sofferma ampiamente: i dispositivi di protezione delle vie respiratorie.
Si indica che si tratta del “punto di maggior novità dell’intero Protocollo, in quanto chiarisce esplicitamente che l’uso della mascherina nei luoghi di lavoro non è più obbligatoria e che l’utilizzazione volontaria da parte dei lavoratori è legata al ricorrere di alcune condizioni particolari di rischio: ‘l’uso dei dispositivi di protezione delle vie respiratorie di tipo facciali filtranti FFP2, anche se attualmente obbligatorio solo in alcuni settori secondo la vigente disciplina legale, rimane un presidio importante per la tutela della salute dei lavoratori ai fini della prevenzione del contagio nei contesti di lavoro in ambienti chiusi e condivisi da più lavoratori o aperti al pubblico o dove comunque non sia possibile il distanziamento interpersonale di un metro per le specificità delle attività lavorative’ ( Protocollo 30 giugno 2022)”.
Si segnala che per la prima volta si dà attuazione al principio giurisprudenziale secondo il quale ‘in materia di prevenzione antinfortunistica, si è effettivamente passati da un modello ‘iperprotettivo’, interamente incentrato sulla figura del datore di lavoro investito di un obbligo di vigilanza assoluta sui lavoratori (non soltanto fornendo i dispositivi di sicurezza idonei, ma anche controllando che di questi i lavoratori facessero un corretto uso, imponendosi contro la loro volontà), ad un modello ‘collaborativo’ in cui gli obblighi sono ripartiti tra più soggetti, compresi i lavoratori, sui quali, ai sensi dell'art. 20 d.lgs. n. 81/2008, grava effettivamente l'obbligo di attenersi alle specifiche disposizioni cautelari e agire con diligenza, prudenza e perizia’ (da ultimo, Cass., 16816/2022).
A questo proposito si indica che il Protocollo “parte dalla osservazione che la recente normativa” ha fatto venir meno “in via generalizzata l’obbligo dell’uso della mascherina” (la Nota riporta indicazioni e un allegato relativo alle uniche ipotesi nelle quali è invece ancora vigente).
Si indica poi che il venir meno generalizzato dell’obbligo, “tuttavia, va coniugato con l’andamento epidemiologico, ancora non tranquillizzante ed anzi in ripresa. Quindi, lungi dal poter affermare la fine del rischio, il Protocollo precisa opportunamente che le mascherine costituiscono un ‘presidio importante’ in tre situazioni puntualmente indicate:
La disposizione costituisce un monito rivolto all’utilizzatore in ordine al fatto che la liberalizzazione dell’uso della mascherina deve tener conto della perdurante possibilità di contagio”.
In questo senso nella ponderazione tra la decadenza dell’obbligo di legge ed il quadro epidemiologico ancora critico, “il Protocollo (che pure avrebbe potuto conservare l’obbligatorietà della mascherina FFP2) pone a carico del datore di lavoro esclusivamente l’obbligo di assicurare la disponibilità delle mascherine FFP2 e non anche quello di vigilare in ordine al suo effettivo utilizzo e reagire di fronte al mancato uso o all’uso non corretto e lascia libero il lavoratore di utilizzarla autodeterminandosi, nella consapevolezza che, soprattutto nelle situazioni indicate, è ancora presente un rischio per la salute”.
E questa diversa responsabilizzazione – continua la Nota – “identifica la logica collaborativa sopra richiamata: la responsabilità del datore di lavoro per il contagio cede rispetto a quella del lavoratore, il quale è l’unico a poter decidere se indossare la mascherina. Va precisato che la disponibilità della mascherina FFP2 va assicurata a tutti i lavoratori e non solamente a quelli esposti alle situazioni maggiormente rischiose sopra esplicitate”.
Tuttavia, come indicato nel Protocollo, vi possono essere “delle ipotesi particolarmente critiche, nelle quali – nonostante il venir meno dell’obbligo – non si può lasciare spazio all’autodeterminazione del lavoratore ed il datore di lavoro deve poter recuperare la gestione della tutela precauzionale”.
In particolare “il medico competente o il RSPP possono indicare, sul piano tecnico od organizzativo, uno specifico motivo per il quale, nei contesti lavorativi critici sopra indicati (ambienti chiusi e condivisi da più lavoratori; ambienti aperti al pubblico; ambienti dove, comunque, non sia possibile il distanziamento interpersonale di un metro per le specificità delle attività lavorative), l’uso della mascherina viene reputato necessario. In sostanza, si individuano fattori ulteriori a quelli già critici, che rendono necessaria l’adozione di un presidio che, già reputato importante, diviene imprescindibile. In presenza di tale eventuale indicazione, il datore di lavoro può imporre l’uso della mascherina ai lavoratori interessati, che dovranno indossarla”.
Il documento segnala poi che “vengono meno sia l’equiparazione della mascherina chirurgica ai DPI (essendo decorso il termine ultimo che consentiva tale equiparazione) sia, opportunamente, la ‘raccomandazione’ di utilizzo dei DPI, ad ulteriore dimostrazione che il protocollo non prevede né l’obbligo né la raccomandazione nell’uso delle mascherine”. Senza dimenticare che in ambito sanitario “la raccomandazione equivale ad un obbligo”.
E, in definitiva e sulla base delle considerazioni riportate, con riferimento ai dispositivi di protezione delle vie respiratorie la Nota indica che:
Scarica il documento da cui è tratto l'articolo:
Confindustria, Nota di aggiornamento 5 luglio 2022 - “Il nuovo Protocollo condiviso di aggiornamento delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus SARS-COV-2/COVID-19 negli ambienti di lavoro”.
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