I Kiss infiammano l’Arena di Verona per la tappa italiana dell’End of the Road World Tour - CorrieredelVeneto.it

2022-07-15 18:09:33 By : Mr. changguo guo

Neanche un briciolo di malinconia, una stilla di tristezza o un lampo di rimpianto nel concerto d’addio al pubblico italiano. I Kiss, granitici, pazzeschi e monumentali, hanno regalato solo due ore di puro (psycho ) circo rock and roll per l’unica (e ultima) tappa del Paese dell’End of the Road World Tour su cui il cui primo passo era stato mosso 50 anni fa a New York.

Una strada lastricata da 130 milioni di dischi venduti e migliaia di live leggendari che a Verona ha però rischiato di trovare uno sbarramento nel diniego, all’ultimo minuto, da parte della Sovrintendenza all’utilizzo di fuochi d’artificio e fiamme, poi, grazie al cielo derogato. Un teatro dell’assurdo (altro che quello dei Kiss ) che dimentica i due sold out areniani del 2008 e del 2015 dove erano stati utilizzati gli stessi effetti scenici, rigorosamente teatrali. In una vicenda (andata a buon fine) che sfiora il grottesco, la cosa più bizzarra è stata chiedere alla band di fare il proprio spettacolo senza l’apparato scenico che da cinque decadi ha scolpito nel marmo il loro pazzo ed esaltante show. Sarebbe stato come chiedere agli attori della commedia dell’arte di recitare senza maschere e costumi, o di mettere in scena l’Aida senza scenografie. L’arte, più della burocrazia, ha bisogno di conoscenza, altrimenti il pasticcio è dietro l’angolo.

«Verona, you wanted the best!»

Sarà stato per la deroga arrivata solo al mattino, ma il concerto invece che alle 21 è iniziato alle 23 per un montaggio ritardato del palcoscenico che, a catena, ha portato allo slittamento dell’ingresso del pubblico che, ormai da due anni , aveva comprato ogni singolo biglietto disponibile in Arena. Quattro gigantesche statue dei quattro personaggi mascherati che hanno riscritto la storia del rock campeggiano ai lati del palcoscenico. In realtà sono dei gonfiabili alti oltre 15 metri ma talmente ben fatti che potrebbero venire fuori dal set del Signore degli Anelli , mondi uniti da un’epica conforme. La tensione dei 13mila arrivati da mezzo mondo per salutare i Kiss si annulla come un lampo quando, dopo “Rock and Roll” dei Led Zeppelin trasmessa dalla radio, la voice off grida la frase che tutti aspettano: “Verona, you wanted the best! You’ve got the best! The hottest band in the world, Kiss!”.

Cade il telone nero che copre strumentazioni e scenografie, e tra scoppi d’artificio e fiammate i gladiatori mascherati iniziano il loro carnevalesco show sempre diverso e sempre uguale. Un canovaccio intessuto di hit che possono cambiare, ma che non potranno mai prescindere dalle quattro maschere dei protagonisti , una pièce senza copione ma con performance e personaggi fissi. Ogni componete della band ha il suo make up, il proprio costume, zeppe alte 30 centimetri su stivaloni borchiati; ognuno le proprie mosse e i propri numeri, marchi di fabbrica che il pubblico conosce e, giustamente, pretende. C’è l’oscuro “The Demon”, Gene Simmons, basso e voce, il giullare “The Starchild”, Paul Stanley, chitarra e voce, accompagnati dal batterista Eric Singer “The Catman” e dall’ultimo entrato nella squadra (ormai vent’anni fa) Tommy Thayer, “The Spaceman”, chitarra solista.

Una scaletta di due ore di classici che inizia con una bollente “Detroit Rock City” per poi coinvolgere il pubblico (immancabilmente in piedi per tutto il live) su una “Shout It Out Loud” con una selva di laser ad illuminare l’Arena. A parlare è sempre Stanley che esprime più di altre occasioni, una gioia e una serenità davvero sincera. «Buonasera siamo venuti qua perché io amo Verona – spiega scherzando The Starchild – abbiamo davvero tanta carne al fuoco, cose vecchie, cose ancora più vecchie e cose vecchissime, oltre a classici del nostro primo album come “Deuce”!». Simmons alla voce con l’enorme basso ascia da lui disegnato è un monumento a sé stesso. Fioccano i numeri classici tra i tre sul fronte del palco che suonano muovendosi a tempo come onde, le passeggiate dinoccolate di Stanley, i cambi di chitarra e il lancio dei plettri di Thayer. Passano perfette “War Machine” e “Heaven’s on Fire”. “Abbiamo suonato in Italia sessanta volte - ricorda tra orgoglio e soddisfazione il fondatore – e ogni volta “I Love It Loud””, divertendosi con un gioco di parole traducibile con un “Mi piace forte ”. Il numero dello sputafuoco di Simmons è smorzato, ma si torna a cantare tutti assieme su “Say Yeah” e la chicca di “Cold Gin” in cui il Demone si diverte a tentare di leccare la faccia Thayer con la lingua smodata entrata nel Guinness.

La liturgia del vangelo secondo i Kiss prevede gli assolo dei componenti della band e, in coda al classico, arriva il momento di Tommy Thayer e dei suoi razzetti sparati dal manico della chitarra. “Lick It Up” è puro godimento tanto più che la band ci infila un omaggio a “Baba O’Riley ” degli Who, poi ila gag più genuinamente divertente con i due fondatori Simmons e Stanley che, in mezzo a “Calling Dr. Love” si sfidano con le parole d’italiano che conoscono, infilando una sequela di “Buona sera, bella faccia, grazie mille”, ma anche “Rita Pavone” (che sembra la parola preferita di The Demon) e ancora «Zucchero, Ferrari, sorbetti, tortellini, capellini, ravioli, Sinatra e cannoli». Si ritorna “seri” su l’inconsueta “Tears Are Falling” da “Asylum” del 1985 e la cavalcata rock si fa intensa tra fuoco e fiamme con “Psycho Circus” e “100,000 Year”. Immancabile il solo di batteria di The Catman che fa volare (letteralmente) lo strumento verso il cielo e quello di The Demon in cui, durante un solo che sembra un’evocazione di delay, si trasfigura vomitando sangue (sintetico ) e mulinando la linguona. Poi apre le sue ali (questa volta però manca il volo vero e proprio) e inizia una “God of Thunder” epocale. Ormai il traguardo dello show è all’orizzonte: “Love Gun” e “I Was Made for Lovin’ You”, che trasforma l’Arena in un dance floor con tanto di sfera strobo, mette al centro Stanley che si concede il proprio solo. Il finale esaltante è con una “Black Diamond” cantata da Eric Singer tra girandole luminose, esplosioni, fuochi d’artificio e fontane scintillanti da ultimo dell’anno. I bis iniziano con la ballad “Beth” (raramente proposta in Italia ) eseguita al piano da The Catman, ma è solo un momento soft che anticipa la festosa baraonda di “Do You Love Me” e “Rock and Roll All Nite” durante la quale vengono soffiati sulle teste e i volti raggianti dei 13mila milioni di coriandoli rossi che diventeranno un ricordo in più per i fan. Sono passate le una. La notte è profonda ma le maschere luccicanti e borchiate del rock l’hanno resa leggenda.

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