Louis Vuitton: la collezione primavera estate 2023 è un omaggio a Virgil Abloh

2022-06-24 18:20:22 By : Mr. Wayne Zhou

La sfilata alla Parigi Fashion Week, disegnata dal collettivo Studio Prêt-à-Porter della maison, è piena di citazioni dello stilista americano.

Nel parlare di Louis Vuitton è quasi doveroso indugiare nel dietro le quinte speculativo che precede ogni sfilata. Quando nel 2018 la maison sceglieva di affidare la direzione creativa del menswear a Virgil Abloh, la moda ha visto un risolutivo sviamento dai suoi canoni elitari e inveterati nell'heritage storico, in favore di una rivoluzione centrifuga che ha scagliato la couture da Place-Vendôme alla strada, intesa anche come streetwear. Un'operazione che, nel 2015, veniva intrapresa anche da Balenciaga e dal suo sodalizio con Demna Gvasalia, fondatore di Vetements, il cui approccio street è però ben distinto e nettamente contrastante con l'opera sognante e immaginifica di Abloh.

Usando la fantasia come strumento di evasione da un quotidiano fatto di concretezza asfaltata, di metropolitane e fast food, dove nessun ti regge l'ombrello mentre piove e dove si viaggia in economica su voli low-cost dalle file troppo strette, Abloh ha concepito un'utopia mista di arte e cultura urbana, di cui l'abbigliamento è il mezzo comunicativo più comprensibile. La sua prematura scomparsa lo scorso novembre ha lasciato un grande vuoto, paragonabile forse solo alla morte di Alexander McQueen. Con la sfilata primavera estate 2023, la sua presenza è così concreta da non apparire come una latenza testamentaria, ma come un'effettiva tangibilità. Realizzata dal collettivo Studio Prêt-à-Porter di Louis Vuitton, la collezione è anticipata dalla parata dalla marching band della Florida A&M University, emblema della vita studentesca americana e di quella gioventù che ama la musica e che sa sognare.

A show iniziato, Kendrick Lamar seduto in front row si occupa della colonna sonora live, con in testa una corona di spine tempestata di cristalli e accanto una Naomi Campbell con ventilatore elettrico intenta a contrastare il caldo. Sugli spalti, l'arcobaleno che accompagnava la passerella del suo primo show nel 2018, è ricreato da ospiti vestiti nelle 7 gradazioni dell'iride.

Traboccante di omaggi, la collezione è decostruzione dei tagli classici, con capi morbidi, ampi, che sfidano la proporzione in favore di una resa meravigliosamente scenica: i cappotti sono larghi, i pantaloni baggy, le silhouette dei completi presentano una commistione fra sportswear e abbigliamento dandy ottocentesco, con tessuti in lilla pallido dalle maniche smerigliate, bottoni a forma di edelweiss bianco e colletti alti con fiocco frontale. La rêverie domina su tutto, con aeroplani di carta tridimensionali incagliati su un abito doppiopetto, con stampe tie-dye fresche di bomboletta che stagliano i wallpaper dei writer anni 90 su giacche e felpe oversize.

Pelle accartocciata, grafiche esagerate, lavorazioni di tessuto e PVC increspato come pervaso da una scossa elettrica, lavorazioni crochet, jacquard e ricami tradizionali: anche il materiale è sostanza magica per la maison, che la usa come tramite e mezzo per celebrare lo stupore. Con un finale di look floreali inneggianti i campi elisi e la collezione primavera estate 2020, dove borse Keepall in tinte pastello si riempivano di boccioli di campo, lo spettacolo è chiuso ancora dall'arcobaleno, con modelli che portano uno striscione colorato lungo l'intera location. Ed eccola, la conferma che Virgil ha saputo darci: la moda non può essere arte, la moda deve esserlo. Deve staccarsi una volta per tutte dall'idea di una commercializzazione, di uno stampo atto a omologare per sentito dire, diventando strumento critico e di denuncia, tornando ai tempi in cui esisteva l'atelier e non la boutique, in cui ci si vestiva come atto identitario, non per la necessità di accrescere il senso di appartenenza a ideali che non esistono.