O meglio, di non trovarli morti. "Nei dintorni di Montoggio tracce di bestie in salute, la speranza è che le autostrade stiano facendo da recinto"
Montoggio. “Grondona è negativo!”. Nel silenzio del bosco, il grido rimbalza da un versante all’altro. Siamo a due passi dalla piazza di Montoggio, a pochi minuti dall’ultimo caffè corretto. Noccioli, castagni, carpini, rovi e fango sono l’habitat delle bestie selvatiche. E dei cacciatori. A urlare “Grondona è negativo!” è uno di loro. Gli altri tirano un sospiro di sollievo.
Adriano Zanni, presidente di Federcaccia – è lui a dare l’annuncio durante la battuta alla ricerca di carcasse di cinghiale con una dozzina di compagni, rigorosamente senza fucile – non sta parlando di un conoscente a cui è stato fatto un tampone ma di un ungulato trovato morto al confine tra la Valle Scrivia e la Val Borbera, a Grondona appunto, zona famosa per la caccia. Gli esami effettuati dall’istituto zooprofilattico di Torino hanno dato esito negativo. Niente peste suina su quella bestia.
“E’ una notizia importantissima – spiega il cacciatore – se quel cinghiale fosse stato positivo avrebbe voluto dire che il virus aveva superato la autostrada A7, a est di Ronco Scrivia, l’unica zona ligure dove fino a ora sono stati trovati i 7 cinghiali infetti”.
Al momento, la zona rossa, sembra davvero essere confinata dal triangolo della rete autostradale, tra la A26, la A7 e la bretella che le unisce all’altezza di Novi. “Una sorta di recinto artificiale, è normale che i cinghiali così come altre bestie non attraversino l’autostrada, per fortuna”.
Insieme ad Adriano Zanni, vigile del fuoco in pensione, altri 11 cacciatori della squadra 193 dell’Ambito territoriale di caccia di Genova, si sono dati appuntamento di buon’ora al bar di Montoggio. Una rapida colazione, l’attenta sanificazione di stivali e scarponcini (prima e dopo la battuta) e poi via nel bosco, facendo attenzione in particolare ai rivi e alle pozze d’acqua.
“E’ lì che si trovano purtroppo le carcasse di cinghiali morti di peste suina – racconta Nicolò Casareto, uno dei più giovani del gruppo – il virus provoca, tra le altre cose, delle forti emorragie che portano il cinghiale malato a cercare acqua da bere, ed è vicino al ruscello o alla pozzanghera che poi esalano l’ultimo respiro”.
Addentrandosi anche solo poche centinaia di metri nella foresta vicino al rio Carpi, quello della terribile alluvione 2014, si scopre – per fortuna – che vicino ai corsi d’acqua o alle pozze le tracce di cinghiali non mancano ma di carcasse neppure l’ombra. “Anzi – continuano i cacciatori – a giudicare dai movimenti, i segni delle zampe freschi di questa notte, il fango delle pozze smosso e poi le tracce sugli alberi qui i cinghiali ci sono ma sono vivi e vegeti e probabilmente sani“.
“Per una volta usciamo sperando di non vedere niente – racconta Giacomo, un altro cacciatore – certo essere senza cani e senza fucili e un po’ una sofferenza ma oggi la priorità è questa, cercare di circoscrivere al massimo la zona rossa in modo da sperare di liberare il resto del territorio, ognuno deve fare la sua parte in questo momento e noi facciamo la nostra”.
Camminando nel bosco non solo tracce di cinghiale, evidenti, ma anche segni di altri abitanti di questi territori. Caprioli, ad esempio. E lupi. “C’è chi sostiene che i lupi non ci siano – sottolinea Matteo, uno dei cacciatori – noi li invitiamo a venire qui una sera, a sentire gli ululati. E poi questo altro non è che l’osso di un capriolo spolpato da un lupo”, afferma mostrando un mucchio d’ossa e del pelo strappato, gli avanzi del pasto di chi sta in cima (quasi, se si eccettua l’uomo) alla catena alimentare.
L’auspicio è quello di non trovare carcasse di cinghiali. Ma se così non fosse la prassi indica ai cacciatori di avvertire la Asl di riferimento e di attendere che arrivi per prelevare i cinghiali morti. Sul territorio ligure per ora sono state trovate soltanto 7 carcasse positive e tutte nella stessa zona. In Valbisagno e Valle Stura, ad esempio, due cinghiali morti non erano stati uccisi dal virus della peste suina.
Esiste una statistica secondo cui per ogni carcassa che si trova ce ne sono almeno altre 10 nascoste. Questo dà la misura di quanto sia abnorme il lavoro affidato alle squadre di volontari, quasi tutti cacciatori appunto, coadiuvati in alcuni casi da guardie zoofile, carabinieri forestali e veterinari. Ma se immaginiamo di guardare i boschi della zona rossa dall’alto, le risorse umane per questo monitoraggio sono davvero risicate.
Per questo Adriano Zanni di Federcaccia lancia un appello: “Sarebbe importante che anche altri soggetti, altre realtà che vivono la natura, oltre ai cacciatori, si facessero avanti per dare una mano l’importante è che avvenga sotto un’unica regia, ma noi non vogliamo l’esclusiva delle battute, sportivi, escursionisti, anche animalisti, se volete fatevi avanti, questo problema riguarda tutti”.
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