"Testimonianza di un salvataggio in mare, quando a vincere è la solidarietà". Titola così la lettera di una lettrice, Gabriella Zagaglia, arrivata questa mattina alla nostra redazione. I fatti fanno riferimento a quanto accaduto domenica scorsa, 21 agosto, sulla spiaggia libera di Porto Potenza Picena, quando il suo compagno ha accusato un improvviso malore mentre era in acqua.
Ma, grazie all'aiuto di tanti, gli attimi di paura vissuti non si sono trasformati in tragedia. Un modo per ringraziare proprio i tanti che, con il loro contributo, hanno fatto la differenza "perché ogni essere umano è un anello che, isolato, non farà mai catena". Di seguito proponiamo il contenuto integrale della lettera:
"Ultimi riflessi di una torrida estate, quando il mare s'increspa e scalpita, come un puledro capriccioso. Ultimi giorni di sana spossatezza, dopo le fatiche dei mesi precedenti. Siamo una coppia tranquilla, due neo pensionati attivi e, per indole, di poche pretese. "Stessa spiaggia, stesso mare" da anni. Un parcheggio fortuito lungo la nazionale, un pezzo di sabbia libera, attrezzatura facile da trasporto e uno spicchio di mare.
"Quel mare" tra il lido bello e Fontespina di Porto Civitanova. Non chiediamo altro. La gente qui non è mai la stessa, ogni volta si incontrano facce nuove. Ognuno prende silenziosamente posizione e c'è rispetto tacito nelle distanze, misurate a colpo d'occhio, all'arrivo.
Due fra tanti, due come tanti. C'è la postazione di un bagnino, ci sono i venditori di routine, i bimbi che “starnazzano” allegramente sulla riva, i “passeggiatori” che sfilano da nord a sud della costa. Ci sono i “creativi” che allestiscono sculture sonore con sassi, conchiglie, pezzi di legno in magici equilibri o appesi a fili di nylon e quanto altro rigurgiti il mare di notte. Sotto ad ogni ombrellone, un piccolo mondo discreto. È domenica mattina, 21 agosto 2022. Ferragosto è passato e non c'è più la "calca".
Troviamo facilmente posto per l'auto e, come siamo soliti fare, scarichiamo lettino, sdraio e ombrellone. Attraversiamo, come sempre, il piccolo sottopasso e ci ricaviamo un privato spazio sulla striscia sassosa, quella a pochi passi dalla riva. A noi piace così, io lo chiamo “l'avamposto”.
Sono sul lettino ad oziare, vorrei dormire e accantono il mio cellulare e i miei appunti (che ho sempre con me) da un lato sulla sabbia. V. mi tiene il broncio, abbiamo avuto un piccolo battibecco, poi si eclissa dietro al suo libro, sprofondando nella sua sdraio blu. Questa è l'ultima immagine che il mio cervello ha registrato, prima di tutto, prima che il cielo mi si frantumasse addosso . Squilla il mio cellulare. Sono intorpidita e accaldata. Mi accorgo di essermi addormentata sotto il sole.
Sollevo il busto istintivamente e metto le gambe fuori dal lettino, la mano sinistra ha il cellulare vicino all'orecchio. È la mia amica infermiera, ma la sua voce mi arriva da lontano. Ora il mio sguardo (grazie alla posizione in avamposto) è fisso sulla riva, a circa dieci metri da me, verso sud. Vedo V. arrancare sul bagnasciuga, procedere gattonando e strisciando. La testa bassa e i movimenti lenti e pesanti.
La mia mano scaglia in aria il cellulare mentre, di corsa, vado verso di lui che, nel frattempo, si siede di fronte alla riva accasciato su sé stesso. Nessuno si accorge di lui, data la posizione di spalle verso la gente. Sono sola, tragicamente sola con il mio uomo che rigurgita schiuma e acqua di mare , farfugliandomi di avere bevuto. Lo trascino un po' indietro afferrandolo per le ascelle. Gli parlo, è vigile ma ha gli occhi stravolti, è cianotico. Intervengo come posso.
Faccio appello a tutte le mie conoscenze in materia di pronto soccorso, da fisioterapista veterana. La disperazione lascia il posto ad una lucida razionalità. Esce acqua, a fiotti. Mi guardo intorno con supplica di aiuto e gli aiuti arrivano. La gente ha il cellulare in mano, chiama il pronto intervento. Arriva il bagnino (Riccardo Damiani), e gli cedo il mio posto: anche lui fa quello che può e come può, con grande coraggio e determinazione. Un altro prezioso e provvidenziale aiuto, arriva alle mie spalle, qualificandosi.
È un infermiere del reparto di rianimazione, Giordano Garbuglia che dà il cambio al bagnino. È un lavoro a tre, pressioni, posizionamenti, spostamenti. La gente non è inerme o indifferente. In molti aiutano a prendere asciugamani e a trascinarlo verso la sabbia. È una gara di solidarietà. Tempestivamente arriva lo staff del 118. Sono in 6 tra medici, infermieri e volontari. Veloci, efficienti, professionali.
L'aria è satura di paura, panico, emotività e timore, ma in questa staffetta di salvataggio, c'è la gente intorno. Estranei che improvvisamente diventano cordiali e premurosi, dando anche loro un prezioso contributo. Due uomini, in pochi minuti, mi sistemano lettino, ombrellone e sdraio nel portabagagli.
Ho le lacrime agli occhi. Per V., per la paura, per riconoscenza verso tutti questi fortuiti angeli. Arrivo dopo l'ambulanza e riferisco i fatti al medico del pronto soccorso. V. è ancora vigile e respira a fatica. Sanitari attenti, esperti ed efficienti. V. viene portato in rianimazione e la dottoressa responsabile, ci accoglie con grande umanità e disponibilità. Giornata critica, ma poi, il sole! Lunedì ha tolto il casco e ora, respira con la mascherina.
V. è un atipico sessantacinquenne. È un uomo forte, un ex paracadutista arruolato in gioventù nelle forze speciali del G.I.S e, soprattutto, un nuotatore eccezionale. Soltanto un malore poteva essere la causa di tutto l'accadimento. Soprattutto, soltanto la sua grande energia e coraggio, potevano riportarlo a riva, pur avendo bevuto almeno una decina di litri d'acqua.
Ecco, tutto questo, ha dato il via alla dinamica che ho raccontato. Di sicuro, è la storia di un uomo che ha lottato tenacemente per la sua vita. Ora che l'adrenalina si sta riassorbendo gradualmente e la mente è lucida, vedo oltre i fatti, oltre il terrore di una sfiorata tragedia. Ora vedo, nitidamente, quello che di solito non trapela dagli altri, quella parte compressa e offuscata che fa di ogni individuo un essere umano: l'amore per i propri simili.
E mi nasce, da dentro, un immenso senso di gratitudine per questo angolo di luce insito in ognuno di noi. Una luce che sa accendersi nei momenti bui, per ricordarci il nostro senso di appartenenza ad un'unica grande specie. È questa la gente che amo, quella di cui non si parla spesso nelle cronache, quella che fa poca notizia, quella che ti tende una mano anche se non ti ha mai visto prima. Non ci sono altri termini per dire "grazie", altrimenti li userei tutti in ogni declinazione.
Ma, e parlo specialmente a nome di V. non finirò mai di ripetermi. E allora grazie a Dio che ha dato forza e coraggio al vero protagonista della storia, grazie al bagnino Riccardo Damiani, grazie all'infermiere Giordano Garbuglia, grazie a tutto lo staff del 118, ai medici del pronto soccorso e della rianimazione dell'Ospedale di Civitanova Alta, e grazie agli “angeli” occasionali della spiaggia di Porto Potenza, preziosi come l'acqua nel deserto.
A volte, le brutte storie possono lasciarci grandi insegnamenti e indurci a riflettere sul nostro atteggiamento verso gli altri. Soprattutto, da quanto è accaduto, risalta una fondamentale, grande verità: un uomo, da solo, è una goccia che non potrà mai essere pioggia o mare, perché ogni essere umano è un anello che, isolato, non farà mai catena".